Onorevoli Colleghi! - Dopo la «Breccia di Porta Pia» e la conseguente fine del potere temporale della Chiesa, con la «legge delle guarentigie» del 13 maggio 1871, lo Stato italiano si faceva carico del sostentamento del clero, con una quota annuale di 3.225.000 lire. Con il Concordato del 1929, rivisto e rinnovato nel 1984, è stato abolito il precedente sistema della cosiddetta «congrua» per introdurre un contributo statale diretto. Sono state previste due diverse forme di finanziamento pubblico della Chiesa cattolica: le offerte dei fedeli (attualmente deducibili sino a 1.021 euro) e una quota dell'otto per mille dell'IRPEF versata da tutti i contribuenti italiani. Successive modifiche legislative hanno esteso ad altre confessioni religiose il diritto a concorrere alla ripartizione dei fondi derivanti dalla quota dell'otto per mille, ma chi ha i maggiori introiti da questo gettito è la Chiesa cattolica. Nel 2006 essa ha potuto prelevare dalle casse dello Stato italiano circa 930 milioni di euro.
      Se si tiene conto del fatto che, in occasione della presentazione annua della dichiarazione dei redditi, in media solo tre italiani su dieci firmano la casella per destinare l'otto per mille del loro prelievo fiscale alla Chiesa cattolica, c'è da chiedersi come sia possibile arrivare a cifre così cospicue. Ebbene, ciò è possibile in virtù di un meccanismo che non possiamo non definire perverso. La straordinaria moltiplicazione di euro in favore della Chiesa cattolica è possibile infatti grazie alle caselle lasciate in bianco dai contribuenti: ben il 65 per cento nel 2004. Accade allora che per il procedimento della ripartizione, previsto all'articolo 47, terzo comma, della legge n. 222 del 1985, che recita: «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti la destinazione si

 

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stabilisce in proporzione alle scelte espresse», è la Conferenza episcopale italiana ad essere la favorita. Pertanto, più aumentano le astensioni più si accrescono gli introiti del Vaticano.
      A voler fare qualche previsione per il 2006, tenendo conto anche dell'aumento del gettito IRPEF, la Conferenza episcopale italiana (CEI), solo col meccanismo di cui ci stiamo occupando, dovrebbe arrivare ad incassare circa un miliardo di euro. Una cifra considerevole, dunque, e che è utilizzata dalla Chiesa soprattutto per il mantenimento dei suoi apparati, e solo in minima parte (20 per cento circa) per gli interventi caritatevoli e umanitari, contrariamente a quanto le suadenti pubblicità che invitano a firmare a favore della Chiesa cattolica vorrebbero far credere.

Risorse destinate alla CEI tramite l'otto per mille

Anno
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Totale
643
763
908
1016
936,5
984
930
Anticipo anno in corso
555
630
724
  788
782,5
854
859
Conguaglio
  88
133
184
  228
154  
130
  71

Utilizzazione delle risorse dell'otto per mille da parte della CEI

Anno
2002
2003
2004
2005
2006
Sostentamento al clero
308
329
319,5
315
336
Esigenze di culto
425
452
437  
471
399
Interventi caritativi
175
185
180  
195
195
Accantonamento a futura destinazione
-
  50
-
    3
-

      I finanziamenti statali alle chiese violano il principio fondamentale della laicità dello Stato e privilegiano il connotato burocratico e di potere temporale degli apparati delle chiese; così si mortifica la religiosità e si scoraggia la scelta volontaria di fare con i propri soldi, e non con quelli destinati alle tasse, un'offerta per l'organizzazione del culto. Inoltre, si svuota l'articolo 3 della Costituzione, e in particolare il secondo comma, in quanto viene meno il principio di uguaglianza fra cittadini e il dovere dello Stato di intervenire per eliminare ogni ostacolo che può produrre sudditanza fra le persone, inserendo un principio caritatevole e di beneficenza che non è previsto dalla nostra Carta fondamentale.
      Con la presente proposta si propone di rientrare nei princìpi costituzionali.

 

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